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Gli obiettivi economici della Federazione

il seguente documento è la traduzione italiana dell’articolo di Vladimir Putin apparso in lingua russa sul quotidiano “Vedomosti” il 30 gennaio 2012.

Stiamo attraversando attualmente un periodo di cambiamenti strutturali nell’economia del mondo intero. Forse mai come ora l’innovazione tecnologica è proceduta ad un ritmo così rapido. Molto di ciò che oggi abitualmente ci circonda sarebbe apparso impensabile solo quindici o vent’anni fa. Mai vi è stata una così acerrima lotta per la supremazia nella competizione globale, in cui si vedono alcuni Paesi, che solo ieri sembravano incrollabili, essere sorpassati da altri che sino a tempi recenti erano guardati con sprezzante condiscendenza. Mai come ora gli uomini si trovano ad affrontare i rischi per possibili catastrofi legate alla tecnica e mai come ora la minaccia per l’ambiente naturale è divenuta così preoccupante. Ma probabilmente mai prima d’ora le opportunità del genere umano erano state così grandi. Riuscirà vincitore chi saprà sfruttare queste possibilità più appieno degli altri.

In simili circostanze è importante garantire alla nostra economia uno sviluppo stabile e progressivo, e ai nostri cittadini la massima sicurezza dalle ripercussioni della crisi, parallelamente ad un rapido e costante rinnovamento di tutti gli aspetti della vita economica: dalle sue basi tecniche e materiali sino agli approcci per la politica economica dello Stato.

Il posto della Russia nella divisione internazionale del lavoro

Dopo il crollo dell’Unione Sovietica la Russia ha dovuto inserirsi nella divisione globale del lavoro, nell’ambito della quale i più importanti centri di forza si erano costituiti senza la sua partecipazione ed anzi in contrapposizione all’URSS. I mercati dei Paesi sviluppati si sono difesi con innumerevoli barriere, erette al fine di difendere gli interessi locali. Un problema ulteriore per l’integrazione nell’economia mondiale era inoltre rappresentato dal divario fra i diversi standard tecnologici.

Ciononostante siamo riusciti a costruire un’economia che è divenuta parte integrante di quella globale. In buona misura questo è stato possibile grazie alle nostre risorse naturali. Più di un quarto del PIL della Russia deriva dalla vendita sul mercato mondiale di gas, petrolio, legna ed altre risorse naturali e materie prime. Oggi la Russia dipende dall’economia mondiale ed è fortemente integrata in essa, ancor più di quanto lo siano la maggioranza dei Paesi.

La constatazione che la nostra economia si basa sul commercio di materie prime è divenuta ormai un luogo comune. Il complesso industriale dell’economia sovietica, chiuso e autarchico, semplicemente non era in grado di adattarsi alle mutate condizioni. Nel processo, in larga parte spontaneo, di passaggio all’economia di mercato sono quindi rimasti in piedi i settori più redditizi, legati all’esportazione di materie grezze o di semilavorati. In pratica siamo riusciti a sopravvivere ad un’imponente deindustrializzazione, alla perdita di qualità e alla totale semplificazione delle strutture produttive. Da qui deriva la nostra dipendenza estremamente elevata dalle importazioni di beni di consumo, di tecnologie e prodotti complessi, nonché dalle oscillazioni dei prezzi di queste ed altre merci: cioè da tutti quei fattori che in linea di massima non possiamo controllare.

Per la Russia è inammissibile avere un’economia che non garantisca né stabilità, né sovranità, né tantomeno un livello dignitoso di benessere. Abbiamo bisogno di una nuova economia, dotata di infrastrutture e di un’industria altamente concorrenziale, di un settore dei servizi sviluppato e di una produzione agricola efficiente. Un’economia che operi sulla base della tecnologia moderna. È dunque necessario dar vita ad un meccanismo di rinnovamento dell’economia, al fine di trovare e attrarre le enormi risorse, umane e materiali, di cui essa ha bisogno.

Nel processo di diversificazione dell’economia non possiamo tuttavia fare affidamento su misure protezionistiche. E questo non perché siamo entrati a far parte del WTO, dove abbiamo fatto il nostro ingresso proprio perché la nostra economia è già fortemente dipendente dal mercato estero, sia nel campo della produzione sia in quello dei consumi. Ma una quota elevata di dazi su prodotti d’importazione ricadrebbe prima di tutto sui nostri cittadini e sulle nostre imprese. Un protezionismo eccessivo conduce sempre alla stagnazione, ad una bassa qualità e a prezzi elevati.

Superare l’arretratezza tecnologica

Occorre individuare quelle misure che permettano di superare l’emergere di questa dipendenza tecnologica a senso unico.

È chiaro che nessuno ripeterebbe oggi l’esperienza dell’Unione Sovietica, la quale, in un contesto di contrapposizione all’Occidente, aveva costituito una sua base tecnologica pienamente autonoma. Proprio in conseguenza di ciò la maggior parte delle tecnologie “autoctone”, vivendo una condizione di isolamento, sono rimaste indietro rispetto alle evoluzioni dei prodotti concorrenti, come è emerso chiaramente dopo la caduta della Cortina di Ferro.

Certamente abbiamo oggi in mente tutt’altro scenario. La Russia deve occupare un posto di assoluto rilievo nella divisione internazionale del lavoro non soltanto come fornitore di materie prime ed energia, ma anche come detentore di tecnologie avanzate in continuo aggiornamento, quantomeno in alcuni settori. In caso contrario, ci limiteremmo ad un dispendio costante di risorse tramite cui rifornirci di nuove, costose e complesse tecnologie, di materiali e  farmaci che non siamo in grado di realizzare noi stessi. Nel frattempo, la quota di PIL mondiale derivante da queste tecnologie continuerà a crescere, mentre si ridurrà quella afferente alle materie prime e ai servizi tradizionali.

Per ritornare alla leadership tecnologica occorre ponderare attentamente le nostre priorità. I settori candidati a riuscirvi sono l’industria farmaceutica, la chimica ad alta tecnologia, la produzione di materiali compositi e non metallici, l’industria aerospaziale, le tecnologie informatiche e della comunicazione, le nanotecnologie. Naturalmente i primati tradizionali, cioè i settori dove abbiamo mantenuto posizioni dominanti, restano l’industria atomica e la cosmonautica. Ma la lista non è finita, molto può derivare dalle possibili congiunture economiche e, non da ultimo, dall’iniziativa degli imprenditori e dei lavoratori dei diversi settori.

Viene sovente espresso il convincimento che la Russia non avrebbe bisogno di una politica industriale: questo perché lo Stato, nel determinare priorità e nel creare corsie preferenziali, incorre spesso in errori, sostiene i rami improduttivi ed ostacola quell’innovazione che dovrebbe invece sorgere liberamente da una concorrenza equa. Simili considerazioni sono difficilmente contestabili, ma si rivelano veritiere soltanto se anche le altre condizioni restano paritarie. Noi abbiamo attraversato una deindustrializzazione che ha snaturato le strutture economiche. Il grande capitale privato non investe spontaneamente in nuovi settori perché non vuole assumere rischi elevati. Per questo faremo senz’altro ricorso a incentivi fiscali e doganali, affinché gli investitori puntino ai settori innovativi. Ma ciò potrà produrre effetti solo dopo alcuni anni, così come potrebbe anche non produrne se nel frattempo nel mondo si saranno aperte opportunità di investimento più redditizie. Il capitale, per definizione, non conosce confini. Siamo pronti a rischiare tanto per il futuro della Russia in nome della purezza della teoria economica?

Sono state esattamente le priorità di politica industriale ad aver indirizzato le nostre azioni verso la creazione di grandi imprese di Stato e di holding con esso integrate, da Rostechnologija Rosatom sino a OAK e OSK[i]. La finalità consisteva nell’arrestare il tracollo dei settori intellettuali dell’industria, nel conservare un potenziale scientifico e produttivo attraverso il consolidamento e la centralizzazione della governance. Uno scopo che può dirsi oggi raggiunto.

Dovevamo riunire patrimoni formalmente appartenenti allo Stato ma che erano amministrati separatamente e che spesso avevano perso il contatto con i centri di ricerca e di progettazione.

Dalla realizzazione di questa strategia di holding integrate di settore deve derivare l’affermazione di imprese competitive su scala globale, altamente capitalizzate, capaci di trovare e poi estendere il proprio ruolo nel mercato internazionale. Sono proprio le grandi aziende capaci di combinare ricerche avanzate e sviluppo del prodotto sino ad arrivare alla produzione, distribuzione e manutenzione di prodotti ad alta tecnologia, che dominano oggi il mercato mondiale dell’industria navale e aerospaziale, delle tecnologie informatiche e farmaceutiche, delle apparecchiature medicali. Esse commissionano inoltre a imprese più piccole che lavorano sull’innovazione e acquisiscono le start-up di successo.

Sinora la maggioranza delle strutture integrate non sono divenute né competitive a livello globale, né altamente capitalizzate, e neppure stabilmente redditizie. Ma non siamo certo intenzionati ad abbandonare il cammino a metà strada: in qualche caso, per esempio nell’industria aeronautica, solo recentemente si è riusciti a portare a termine il difficile processo di consolidamento degli assets. Ma è evidente che è giunto il momento di un test di verifica per ogni progetto di questo tipo, che abbisogna oggi di un top-management con elevate competenze nel business dell’innovazione.

Mi preme sottolineare che gli sforzi del governo si sono indirizzati a rilanciare la competitività della Russia in quei settori del mercato globale in cui concorrono solo pochi attori. In alcun modo si è trattato di eliminare l’iniziativa privata, che in tali settori era del tutto assente. Sarebbe errato trarre conclusioni circa l’insorgere di un capitalismo di Stato sulla base del nostro lavoro di riunione, ristrutturazione e qualificazione dei cespiti, che è stato in realtà preliminare alla loro vendita.

Per ciascuna delle nostre aziende abbiamo oggi un piano di riorganizzazione volto all’immissione nel mercato. Una parte di esse conoscerà una riconversione in forma di public company con conseguente vendita del pacchetto azionario. Questo processo riguarderà ad esempio RostechnologijaRosavtodor, la componente civile dell’industria nucleare Rosatom e una serie di altre aziende di Stato. È un lavoro che non concluderemo certo in un giorno, ma che non possiamo neanche protrarre all’infinito. Ritengo che sia possibile, entro il 2016, ridurre la quota di partecipazione dello Stato in quelle aziende che lavorano le materie prime e concludere il processo di uscita del capitale pubblico dalle grandi imprese che operano in altri settori e che non possono essere considerate né monopoli naturali, né industrie facenti parte del sistema di difesa.

Contiamo sull’attiva partecipazione del capitale russo nella privatizzazione e nel successivo sviluppo di assets ad alta tecnologia. Al contempo dobbiamo cercare acquirenti presso quegli investitori globali disposti non solo ad investire nella produzione e nella ricerca industriale e scientifica di base, ma anche ad apportare i propri contatti ed il proprio prestigio nei grandi mercati internazionali.

L’esperienza di riuscita modernizzazione dell’economia di alcuni Paesi, come ad esempio Cina e Corea, dimostra che una spinta da parte dello Stato è necessaria, perché i suoi effetti compensano ampiamente il rischio di commettere errori. Senza sforzi opportunamente concentrati sarà difficile attuare una diversificazione dell’economia. Consapevoli tuttavia di tutti i rischi che la selettività comporta, dobbiamo condurre una politica di definizione delle priorità e di sostegno da parte dello Stato che sia il più possibile trasparente, aperta alla valutazione e alla discussione con le imprese concorrenti e con le associazioni di categoria.

La concorrenza, che costituisce la pietra angolare dell’economia contemporanea, si basa sul fatto  che i detentori di tecnologie avanzate, cioè le aziende che hanno sviluppato innovazione, tentano di impedire ai consumatori di avere accesso a quello che potremmo definire il «cuore della tecnologia». Ciò non concerne solo i progetti sperimentali, bensì tutto il ciclo di servizio delle tecnologie. Noi Russi abbiamo potuto constatarlo direttamente quando, durante la crisi economica, le nostre imprese hanno tentato di acquisire alcune partecipazioni all’estero. Non appena si è toccato il ciclo completo delle tecnologie – finanche quello dell’industria automobilistica – i nostri partner occidentali hanno subito fatto scattare il semaforo rosso.

Un’azienda fornitrice, mettendo sul mercato le più recenti scoperte tecnologiche, tende di norma a tenere per sé quegli elementi più o meno complessi relativi alla manutenzione delle apparecchiature e ai processi tecnici. In questo modo, l’acquirente entrerà in una dipendenza non solo tecnologica ma più in generale economica dal suo fornitore. E se un qualunque Paese si comportasse da outsider nelle decisioni sulle tecnologie avanzate, finirebbe per subirne perdite economiche costanti. Quand’anche il suo territorio ospitasse gli impianti di produzione, la parte del leone nell’accaparramento del profitto si giocherebbe infatti laddove sono ubicate le sedi centrali, i laboratori e gli uffici di progettazione.

Proprio per questa ragione i Paesi sviluppati lavorano secondo i princìpi della cooperazione tecnologica. La dipendenza reciproca favorisce infatti la loro stabilità economica e politica.

Il ciclo di innovazione dell’economia russa

Garantire la concorrenza rappresenta un requisito economico essenziale per la domanda di tecnologie. Soltanto la concorrenza mette le imprese private in condizione di ricercare le migliori soluzioni tecnologiche e quindi di rinnovare la produzione. Vedo chiaramente tutte le sfide che una serie di nostri settori sono chiamati ad affrontare con l’ingresso nel WTO; ma voglio assicurare che sarà fatto tutto il possibile per alleggerire le difficoltà nel periodo di transizione. Allo stesso tempo, tutti gli imprenditori che lavorano nella produzione industriale devono comprendere che il periodo dei mercati nazionali è ormai alle spalle. Non vi saranno più accoglienti nicchie ove rifugiarsi, perché nell’ambito della produzione di alte tecnologie esiste un solo mercato globale.

Vi è tuttavia l’altra faccia della medaglia: la proposta di innovazioni. L’economia russa deve poter non soltanto acquisire, ma anche generare innovazione. Il nostro posto nel mondo futuro dipenderà proprio da quanto saremo in grado di sfruttare le nostre potenzialità.

Un livello elevato di istruzione di massa, un enorme patrimonio scientifico di base, la presenza di alte scuole di ingegneria, una base di esperienza produttiva che comunque si è conservata in molti settori: dobbiamo necessariamente far leva su tutti questi elementi.

Negli anni precedenti abbiamo devoluto molte risorse a quegli istituti che garantiscono la commercializzazione di ricerche applicate. Oggi lavorano Rosnano, il fondo di fondi Russian Venture Company (Rossijskaja Venčurnaja Kompanija), e lo Stato indice concorsi per lo sviluppo di infrastrutture innovative in ambito universitario. Il progetto di Skolkovo ha già attirato l’attenzione di numerose aziende occidentali. Ma non è sufficiente imparare a vendere bene: per la crescita stabile di un’economia di innovazione è necessario infondere un flusso continuo di nuove idee, di prodotti della ricerca di base, e alla fine semplicemente puntare su professionisti creativi in grado di costruire tecnologie.

Il rilancio della dimensione innovativa della nostra economia deve partire dalle università, intese sia come centri di ricerca base che come fonti di risorse umane per lo sviluppo dell’innovazione. Il nostro compito deve essere quello di portare l’istruzione superiore a livelli di competitività internazionale. Per il 2020 dobbiamo puntare ad avere alcune università di livello internazionale in tutto lo spettro delle tecnologie fisiche e sociali. Ciò implica la necessità di garantire un finanziamento stabile ai gruppi di ricerca universitari e una qualità internazionale dei gruppi medesimi.

Le università russe che fanno ricerca devono ricevere una quota di risorse per l’attività scientifica pari al 50% del finanziamento che ottengono alla voce “Istruzione”, proprio come accade ai loro concorrenti stranieri. Affermo questo partendo dal presupposto che al contempo sarà condotta una ristrutturazione, elaborata e concordata con gli esperti della materia e con l’utenza pubblica, di tutti i rami dell’istruzione professionale.

Per quanto riguarda l’Accademia Russa delle Scienze, le università di ricerca e gli istituti scientifici dello Stato, dovranno essere approvati programmi decennali per ricerche base e di tipo esplorativo. Questi programmi dovranno essere difesi rendicontando periodicamente lo stato di avanzamento, tramite rapporti indirizzati non ai funzionari ministeriali, bensì rivolti ai contribuenti e alla comunità scientifica, che li valuterà coinvolgendo specialisti di rango internazionale. Qualora si trattasse di innovazioni nel campo della difesa o di settori in cui lo Stato è direttamente coinvolto, i rapporti saranno indirizzati direttamente ai vertici del Paese. L’incentivo allo sviluppo per le università di ricerca non significa però trascurare il ruolo dell’Accademia Russa della Scienze o degli istituti scientifici dello Stato. Al contrario, uno sviluppo stabile dei diversi istituti dell’Accademia sarà possibile solo se essi potranno scegliere un valido sostegno.

L’erogazione di fondi pubblici a sostegno dello sviluppo di iniziative progettate da gruppi di ricerca sarà considerevolmente incrementata – sino a 25 miliardi di rubli nel 2018. L’importo delle borse di studio deve essere comparabile a quello che gli studiosi ricevono in Occidente.

È necessario proseguire gli sforzi volti all’inserimento dei centri di ricerca, delle università e delle imprese russe nei circuiti internazionali di registrazione e capitalizzazione dei risultati scientifici.

Occorre quindi superare la condizione di inerzia del grande capitale nazionale, che – per dirla francamente – ha un po’ disimparato a investire nei progetti di innovazione, dalle ricerche agli sviluppi sperimentali. Attualmente ci sono 47 aziende a partecipazione statale che hanno adottato programmi di innovazione. Ma anche le imprese private devono abituarsi all’idea che il 3-5% del proprio reddito lordo sia investito in ricerca e sviluppo. È certo necessario elaborare adeguati meccanismi fiscali, ma la cosa più importante è che gli imprenditori privati comprendano che senza investire in ricerca non potranno essere accolti con pari diritti nel mercato mondiale.

Il secondo aspetto della modernizzazione tecnologica è rappresentato dalla possibilità di valorizzare e padroneggiare con estrema rapidità anche le tecnologie importate. Si possono addurre diversi validi esempi di importazione di una cultura tecnologica avanzata. Noi abbiamo una discreta esperienza nell’assemblaggio industriale di autoveicoli: oggi una metà delle auto straniere in circolazione è realizzata da lavoratori russi, ma ormai i consumatori hanno da tempo smesso di pensare alla differenza tra la qualità dell’assemblaggio «realizzato qui» e quello «realizzato fuori». Oggi il nocciolo della questione è la creazione qui, in Russia, di centri di sviluppo tecnologico.

Buona parte degli elettrodomestici di famose aziende vengono prodotti in Russia; le maggiori imprese produttrici di beni alimentari vendono da noi una produzione di origine esclusivamente locale. Per noi è molto importante che i protagonisti del mercato tecnologico mondiale passino da quel primo stadio di percezione della Russia (un mercato di sbocco ricettivo) e dalla seconda fase (investimenti per localizzare qui la produzione) ad un terzo livello (costruire proprio qui, in Russia, nuove tecnologie e nuovi prodotti). Ma costoro punteranno sulla Russia soltanto se vedranno centri scientifici e università tecniche competitivi a livello mondiale.

Investendo nella competitività dei settori avanzati dell’economia, la Russia risolverà anche un problema sociale di portata globale: lo sviluppo di una classe creativa e la formazione di uno spazio dove essa possa realizzarsi.

Tuttavia vi sono ampi settori in cui la nostra cultura tecnologica e organizzativa è come rimasta ferma al secolo scorso. Non da ultimo, ciò è dovuto al fatto che acquistiamo singole unità di produzione, ma spesso trascuriamo le apparecchiature della logistica, il controllo della qualità e talvolta persino la stessa cultura tecnologica di base. Gli ambiti più rappresentativi in questo senso sono naturalmente le costruzioni e i trasporti.

Lo Stato offrirà il suo sostegno ai grandi progetti infrastrutturali, in primo luogo per garantire una rete di comunicazioni di buon livello all’interno del nostro Paese, assicurando ad esempio collegamenti di qualità con le regioni della Siberia e dell’Estremo Oriente. Un discorso non meno importante riguarda poi la rete stradale locale. Oggi ci troviamo infatti in una situazione veramente paradossale. La Russia, che vanta un territorio enorme, soffre di una carenza di aree edificabili a causa proprio dello scarso sviluppo delle infrastrutture. Se in Europa, negli USA, in Giappone o in Corea si può costruire una casa o una fabbrica in qualsiasi punto, a 50 e magari a 80 chilometri di distanza da una grande città, da noi già a 20-30 chilometri cominciano le aree non sviluppate, prive di acqua, gas ed elettricità, dove la terra non costa nulla perché è semplicemente inutilizzabile.

La valorizzazione del territorio della Russia deve cominciare dalle zone che circondano i grandi centri economici. L’estensione del “raggio di agglomeramento” di 1,5/2 volte aumenterà in modo considerevole la superficie di territorio praticabile e consentirà di colmare ampiamente questo deficit, riducendo del 20-30% i costi per la costruzione di zone residenziali e industriali. Ciò permetterà inoltre un significativo miglioramento sia della redditività dell’industria agricola in aree suburbane, sia del tenore di vita dei lavoratori impiegati nel settore agrario.

L’imprenditoria, specie la piccola e la media, potrà sfruttare prontamente le opportunità aperte dallo sviluppo infrastrutturale, a partire dalla rete stradale. Ma nelle condizioni presenti soltanto lo Stato è in grado di portare avanti queste iniziative, pur coinvolgendo imprenditori privati (in progetti di partenariato pubblico-privato). Per far ciò è necessario un miglioramento sostanziale dell’efficacia della spesa, realizzando costruzioni senza spendere più di quanto fanno i nostri vicini. Per far ciò siamo aperti a offerte internazionali, in modo da attrarre su larga scala note compagnie straniere in qualità di operatori e imprenditori. A decorrere dall’anno prossimo, introdurremo un obbligo di controllo pubblico di tecnologie e prezzi per i principali progetti a partecipazione statale che si avvarrà della consulenza di esperti internazionali.

Un argomento a parte è invece l’industria agricola. Il settore agrario della nostra economia ha dimostrato buoni ritmi di crescita negli ultimi anni. Praticamente tutti i Paesi sviluppati, in forme diverse, sussidiano e sostengono i propri produttori agricoli: la Russia in questo non fa eccezione. Le motivazioni sono due. In primo luogo, nelle condizioni di incertezza del mercato mondiale, caratterizzato da notevoli oscillazioni di prezzi degli alimenti, la sicurezza agraria – che rappresenta la capacità di un Paese di provvedere autonomamente al fabbisogno alimentare – costituisce un requisito di stabilità economico-sociale non meno importante dell’avere i conti pubblici in ordine o una valuta affidabile. In secondo luogo – e ciò riguarda ancora una volta non solo la Russia – il settore agrario è un fattore di preservazione di un ambiente competitivo in economia,  di formazione di piccole e medie imprese: il “sottobosco”, per così dire, di un capitalismo sano.

Dove reperire i capitali?

La fonte principale per la creazione di nuove aziende e nuovi posti di lavoro sono gli investimenti privati. Qui la nostra situazione è tutt’altro che rosea. Per attrazione di investimenti stiamo perdendo terreno rispetto ai Paesi nostri concorrenti e registriamo un significativo deflusso di capitali dalla Russia.

Certo, in buona parte questa situazione è figlia delle nostre azioni tra la fine degli anni Novanta e l’inizio degli anni Zero, allorché sorse una lotta tra coloro che si erano accaparrati i principali ricavi finanziari (derivanti soprattutto dalla vendita di materie prime ed energia) e quanti volevano che questi tornassero appannaggio dello Stato per essere utilizzati a beneficio di tutta la collettività. Io ritengo che abbiamo agito correttamente, aumentando il peso dello Stato nel settore industriale delle materie prime.

E questo non soltanto perché qualcuno degli oligarchi seguitava nel tentativo diretto di “сomprare la politiсa”. Già all’immediato inizio del mio primo mandato presidenziale ci siamo scontrati con i persistenti tentativi di svendere all’estero i cespiti chiave. La concentrazione delle risorse strategiche nelle mani di poche persone avrebbe significato, nel giro di 5-10 anni, mettere le sorti dell’economia russa sotto il controllo esterno.

Non si tratta di una particolare cospirazione contro la Russia. La questione va posta in tutt’altri termini. Osservate come si comportano le aziende multinazionali in condizioni di instabilità, turbolenza e percezione di una crisi imminente: per la salvezza del nucleo nazionale dell’attività, senza pensarci un attimo, le risorse scappano dai “mercati emergenti” – tale è da essi considerata la Russia e lo era soprattutto all’inizio del decennio passato.

La sostenibilità del nostro sviluppo è condizionata non solo dagli indicatori macroeconomici. Essa si fonda anche sul fatto che la maggior parte delle persone che detengono capitali e fanno scelte di investimento vivano in questo nostro Paese, vi vedano il futuro per i propri figli e leghino i propri interessi nel lungo periodo al suo sviluppo.

Cosa si può fare per affrontare “la questione del capitale”?

In primo luogo bisogna aumentare il volume del mercato interno, in modo da renderlo più attrattivo per gli investimenti diretti. In questo campo oggi stiamo facendo tutto quello che è in nostro potere. Per la prima volta dalla caduta dell’URSS, siamo passati dai proclami e dalle dichiarazioni d’intenti ad una reale integrazione. Negli ultimi anni sono stati istituti l’Unione Doganale, lo Spazio Economico Comune, la zona di libero scambio della CSI. Prosegue l’armonizzazione delle procedure tecniche e la Russia tenta coerentemente di costruire un mercato unico con i propri vicini. Un mercato in cui la diffusione di merci e servizi non incontri barriere e non si scontri con un’atmosfera di incertezza. È chiaro che teniamo in conto gli interessi dei nostri partner, negoziando compromessi e facendo concessioni. Ma da ciò deriverà ben presto un ritorno positivo. Siamo infatti certi di una cosa: il grande mercato dello Spazio Economico Comune aumenterà la competitività di ciascuno dei nostri Paesi.

In secondo luogo, il clima imprenditoriale del Paese e la sua capacità di attrazione di capitali nel lungo periodo risultano ancora insoddisfacenti. Negli ultimi anni, su iniziativa del Presidente Medvedev, abbiamo avviato tutta una serie di riforme orientate proprio al miglioramento del clima imprenditoriale. Ma obiettivamente sinora non si sono visti cambiamenti sostanziali. Veniamo ancora sconfitti sul piano della competitività “giuridica”: l’imprenditore che lavora in Russia spesso preferisce registrare la sua attività e le sue transazioni all’estero. Il problema non sta nel nostro regime fiscale, che nell’insieme può dirsi competitivo, e neppure nell’assenza di legislazione, che complessivamente risponde alle esigenze odierne (sebbene vada anch’essa perfezionata poiché non flessibile a sufficienza per concedere agli imprenditori tutti gli strumenti necessari). Il problema principale è l’assenza di trasparenza e di controllo della società sull’operato dei funzionari dello Stato: dai servizi doganali e fiscali al sistema giudiziario e ai rappresentanti delle forze dell’ordine. Se vogliamo chiamare le cose con il loro nome, il nostro problema è la corruzione sistemica. I costi che ricadono sull’imprenditoria sono variabili: puoi pagare di più o di meno a seconda del “livello di vicinanza” di cui puoi godere presso alcuni soggetti all’interno della sfera pubblica. In questo caso il comportamento razionale di un imprenditore non è osservare le leggi, bensì cercare una copertura e tentare di accordarsi. Ma questa pratica imprenditoriale fondata su coperture e accordi, a sua volta, in luogo di aumentare l’efficienza economica delle imprese tende ad eliminare la concorrenza, tagliata fuori dal mercato grazie all’appoggio dei funzionari compiacenti su cui si può contare tra le forze dell’ordine, negli organi preposti al controllo fiscale e nel sistema giudiziario.

Ripulire il campo dalla corruzione per quegli imprenditori che vogliono battersi in una concorrenza leale è un compito fondamentale di portata sistemica. In quest’ambito le decisioni esulano dalla politica economica. Dobbiamo operare cambiamenti all’interno dello stesso Stato russo, dei suoi poteri esecutivo e giudiziario, smantellando la “collusione” tra organi di sicurezza, reparti investigativi, pubblici ministeri e giudici, espungendo dal codice penale tutti i residui di giustizia sovietica, cioè tutti quegli elementi che possono trasformare una controversia commerciale in un procedimento penale contro una delle parti in causa. Tutte le vertenze economiche devono passare dai tribunali ordinari alla competenza delle Corti arbitrali. In collaborazione con gli esperti della materia e gli imprenditori, dobbiamo avviare un pubblico dibattito e introdurre entro la fine di quest’anno tutte le necessarie proposte specifiche in merito. Sono certo che i deputati della Duma sosterranno le misure di cambiamento.

Un esempio eloquente è il Kazakistan, nostro vicino con cui dal 1 gennaio ci troviamo all’interno di un unico spazio economico. Secondo la graduatoria stilata dalla Banca Mondiale, oggi questo Paese occupa il 47esimo posto quanto a condizioni per il business, mentre la Russia è solo alla posizione numero 120. Ritengo vada messo all’ordine del giorno il compito di avvicinarci a quei Paesi, che già hanno indicatori economici simili ai nostri, anche nei parametri che definiscono le buone condizioni per fare impresa.

È quindi necessario cambiare l’intera concezione del controllo statale sull’attività imprenditoriale, limitandone fortemente le funzioni. La nostra nuova strategia deve fondarsi su una “presunzione di coscienziosità” del fare impresa, partendo dal presupposto che creare condizioni per l’attività di imprenditori responsabili è più importante dei rischi connessi ad una loro condotta riprovevole.

E veniamo al terzo punto. Le risorse della popolazione non vengono adeguatamente implementate nel mercato. Ciò significa che la popolazione non riceve una sua quota di ricavi dalla crescita economica, dall’aumento di capitalizzazione dell’economia. Sono quindi necessari programmi che coinvolgano le risorse finanziarie delle persone in diverse tipologie di investimento, per esempio tramite i fondi pensione, i fondi fiduciari o i fondi comuni d’investimento. Nei Paesi con un’economia di mercato sviluppata ciò rappresenta una parte significativa del capitale nazionale.

Bisogna dunque creare condizioni in virtù delle quali sorgano, all’interno del settore privato dell’economia russa, investimenti sul lungo periodo provenienti dalla quota crescente di risparmi individuali, ivi compresi da quelli pensionistici.

Ciò non può essere raggiunto senza una riduzione significativa del tasso d’inflazione. L’aumento del costo della vita grava sul reddito di ogni cittadino e frena gli stimoli ad investire risorse per il futuro. Talora ci viene suggerito di risolvere questi problemi ricorrendo ad un’irresponsabile battitura di moneta, oppure ad un temerario accumulo di debito pubblico. Ma sappiamo bene che, in tal modo, alla breve illusione di benessere farebbe rapidamente seguito un’impennata dei prezzi: ci siamo già passati negli anni Novanta.

È pur vero che l’abbassamento dell’inflazione non comporta di per sé l’accumulo di capitale addizionale, ragion per cui è necessario offrire un sostegno dando vita a nuovi istituti.

Un passo in questa direzione è introdurre meccanismi pubblici di garanzia e persino di redditività dei conti previdenziali. Bisogna sperimentare nuove forme di accumulo, in particolare l’apertura di conti pensionistici direttamente presso le banche. Il sostegno agli investimenti di lungo periodo deve costituire una priorità per i prossimi 10-15 anni. Si tratta di un processo lungo, di cui non bisogna temere l’assenza di riscontri immediati. Abbiamo dalla nostra parte una condizione essenziale per la sua riuscita: in Russia sta crescendo rapidamente una classe media, che spende i propri guadagni in cure mediche di più alto livello, in abitazioni di miglior qualità, in assicurazioni pensionistiche più redditizie. Compito dello Stato è far sì che questi soldi non vengano bruciati.

Con questo mi rivolgo specificamente ai rappresentanti delle opposizioni. Quanto detto sinora non implica certo passi indietro sul fronte della gratuità dell’istruzione e della sanità, né che smetteremo di erogare aumenti alle pensioni tradizionali. Non arretreremo, bensì faremo avanzare la qualità di servizi che la nostra Costituzione garantisce ad ogni cittadino. Ma questo sarà oggetto di un mio prossimo articolo.

La riduzione della presenza dello Stato nell’economia

L’arte di amministrare l’economia nel mondo contemporaneo consiste innanzitutto nel determinare con precisione i termini della necessaria correlazione fra ruolo dello Stato e iniziativa privata.

La crisi mondiale ha fornito molti argomenti ai sostenitori dell’intervento pubblico. Ma noi comprendiamo che la Russia si differenzia da molti altri Paesi per una presenza ancora piuttosto rilevante dello Stato nell’economia e per una pesante intromissione nella sua gestione, mentre i metodi concreti sono al contrario meno efficaci di quanto si può constatare in altre esperienze. La nostra politica economica deve correggersi andando verso la riduzione del peso dello Stato, sostituendo la regolamentazione con i meccanismi di mercato e il controllo amministrativo con l’assicurazione di responsabilità.

Ho già parlato in precedenza dei nostri piani di privatizzazione riguardanti una serie di cespiti chiave. Voglio a questo proposito rimarcare che tale privatizzazione non ha una ragion d’essere “fiscale”, bensì una portata strutturale. Vale a dire che non ci accingiamo a vendere per far affluire entrate nelle casse dello Stato, ma in primo luogo per aumentare il livello di concorrenza nell’economia e lasciare spazio all’iniziativa privata. Cionondimeno, una vendita al ribasso, che ignori le congiunture di mercato, sarebbe un’operazione tutt’altro che intelligente. Nessun proprietario agirebbe in questo modo.

Nella società civile si discute molto del fatto che la privatizzazione degli anni Novanta fu disonesta perché realizzata tramite il sistema di aste “prestiti-per-azioni”. Sono completamente d’accordo con questa diagnosi. Ma adesso un ritorno da parte dello Stato comporterebbe solo una battuta d’arresto per l’economia, una paralisi delle imprese e un’impennata della disoccupazione. Inoltre, molti degli attuali proprietari di cespiti restano formalmente degli acquirenti in buona fede, che non hanno infranto le leggi di allora. Molti di loro hanno modernizzato le aziende, creato nuovi posti di lavoro, e sono risultati bravi imprenditori. Il loro comportamento durante la crisi del 2009-2010 ha palesato quanto sia oggi cresciuta la responsabilità sociale delle imprese.

Si dovrà quindi ridurre la presenza di grandi banche e aziende con una partecipazione preponderante dello Stato, così come dei monopoli naturali, includendo la stessa Gazprom, da dividere in capitale con altri soggetti economici, separando i settori non strategici quali sono ad esempio le società di mass media.

Occorre limitare l’acquisizione di nuovi assets da parte delle aziende di Stato. I “pesci grossi” non devono ostacolare il normale sviluppo delle imprese private, tagliandole fuori dai progetti più profittevoli.

Le condizioni macroeconomiche della crescita

Condizione essenziale affinché in Russia si formi un “capitalismo per tutti” è la conservazione e il consolidamento della stabilità macroeconomica, che rappresenta forse il nostro più grande successo degli ultimi anni. Abbiamo imparato ad apprezzare la stabilità macroeconomica e ad utilizzare tutti gli strumenti atti al suo mantenimento, anche nelle condizioni più difficili. Grazie alla lungimirante costituzione di fondi sovrani siamo riusciti a resistere con relativa calma alla prima ondata della crisi globale.

Per facilitare investimenti sul lungo periodo è importante che gli operatori siano sicuri della stabilità macroeconomica negli anni a venire. Ciò presuppone, in particolare, che gli imprenditori comprendano come lo Stato cercherà di risolvere le complesse questioni relative al bilancio pubblico, quanto siano garantiti i fondi da erogare in base alle previsioni di spesa, nonché quale tipo di misure saranno intraprese per il rinnovamento dell’economia.

Per quanto riguarda il bilancio pubblico abbiamo già assunto non pochi impegni di lungo periodo, in special modo nella sfera sociale, che siamo intenzionati a rispettare rigorosamente. Spese significative saranno destinate all’ammodernamento delle nostre Forze Armate. Ulteriori finanziamenti sono necessari per lo sviluppo della sanità, dell’istruzione, della costruzione o ristrutturazione delle reti stradali. Come riusciremo a garantire tali uscite?

In primo luogo attraverso l’efficacia delle erogazioni, nella chiara selezione delle priorità e nel rifiuto di ogni spreco tramite un severo controllo dei costi e della qualità delle costruzioni, così come dell’ammontare degli appalti pubblici. Nella sua essenza, ciò mira ad estirpare il fenomeno delle tangenti nell’uso di denaro pubblico tanto a livello federale quanto a livello regionale. Dobbiamo affrontare questo problema, che ci consentirà di risparmiare, secondo le stime, tra il 5 e il 10% del bilancio dello Stato, cioè 1 o 2 punti di PIL all’anno.

Nel progetto di legge sul Sistema di Contratto Federale è previsto l’obbligo di una discussione pubblica preliminare sulle modalità degli appalti pubblici e sul prezzo iniziale. Ritengo sia necessario, già prima che entri in vigore la nuova legge, adottare questa procedura per tutti i grandi appalti: orientativamente, diciamo, per quelli che superano il miliardo di rubli. Possiamo in questo modo sfruttare l’interesse privato delle potenziali aziende appaltatrici a beneficio della collettività. È bene che esse si abituino a discutere, insieme ai giornalisti e alle associazioni di categoria interessate, se un dato progetto da commissionare risponde tecnicamente a requisiti di modernità, quali imprese potrebbero efficacemente realizzarlo e quali sarebbero i costi minimi necessari.

Per ciò che riguarda le erogazioni di denaro pubblico, è necessario svincolarsi con decisione da quell’inerzia che persiste nel finanziare indiscriminatamente gli enti, invece dei servizi che essi dovrebbero fornire. Nei limiti del possibile, bisognerebbe cercare di passare ovunque a tipologie di finanziamento pro capite, che si hanno quando il denaro viene destinato a soggetti che offrono servizi ai cittadini e sviluppano la concorrenza. Rivedere il finanziamento rappresenterebbe un risparmio del 10-15% dell’economia interna, che ci permetterebbe di aumentare le retribuzioni agli insegnanti, ai medici, ai docenti universitari, o di garantire un più ampio accesso ai farmaci e ai medicinali.

Un secondo aspetto essenziale è la necessità di avere un sistema pensionistico equilibrato, che riduca la quota di trasferimenti dal bilancio pubblico al Fondo pensioni.

Il terzo riguarda invece l’attuazione di un’adeguata politica tributaria. Non aumenteremo il carico fiscale sulle imprese che non lavorano le materie prime: ciò sarebbe in contraddizione con il principio di diversificazione dell’economia. Ma ci sono degli ambiti che possono essere tassati per aumentare le entrate: gli immobili costosi, il consumo di beni di lusso, di alcol, di tabacco, l’aumento dei canoni di locazione il cui tasso si è abbassato. Questo significa introdurre un’imposta sui patrimoni, o per essere più precisi sul consumo di lusso. Le decisioni più importanti in questa direzione vanno assunte durante quest’anno, di modo che già dall’anno prossimo i proprietari di case o automobili costose si trovino a pagare aliquote aumentate. Nell’adozione di queste misure è importante tuttavia non colpire la classe media.

Una grande riserva di entrate è costituita dal patrimonio sommerso dell’evasione fiscale, causato dall’intestazione fittizia delle società o dall’esistenza di conti off-shore. Dalla lotta contro questo fenomeno l’imprenditoria onesta ha solo da guadagnarci, perché non dovrà più competere con chi prospera in modo fraudolento truffando l’erario.

Oltre a ciò dobbiamo, una volta per tutte, resistere alla tentazione di aumentare il carico fiscale a causa di eccedenze di spesa. Questa politica non farebbe che rafforzare l’incertezza del clima economico per l’imprenditoria, compromettendo seriamente la capacità di attrarre investimenti.

Il compito principale è senz’altro stabilire un equilibrio di lunga prospettiva fra entrate e uscite. La corrispondenza di questi due termini si è indebolita quando, durante la crisi, sono state allocate molte risorse per attutire i colpi venuti dall’esterno. È quello che è accaduto d’altronde in numerosi Paesi fortemente coinvolti dalla crisi. Tuttavia è proprio l’esperienza negativa dei Paesi dell’Unione Europea o degli USA che dimostra quanto sia pericolosa, da un punto di vista economico, politico e sociale, l’alterazione del bilancio pubblico. In Russia questo problema è accentuato dalla dipendenza delle entrate dello Stato dai prezzi di gas e petrolio.

Dobbiamo inoltre essere molto attenti nel far ricorso a prestiti per coprire il bilancio, traendo insegnamento da quello che ha dimostrato la storia recente sia in Russia sia nel resto del mondo.

Prima di tutto, un debito eccessivo implica sempre la cessione di una quota di sovranità del Paese. Si viene cioè a creare una situazione in cui qualsiasi peggioramento della congiuntura economica pone un dato Paese alla dipendenza degli investitori privati, delle organizzazioni internazionali e dei Paesi creditori, che dettano quali misure è necessario adottare. Da questo punto di vista la Russia si trova oggi in una posizione privilegiata rispetto ad altri Stati, avendo per esempio il più basso debito pubblico fra tutti i Paesi del G-20. E dobbiamo senz’altro conservare questo vantaggio come parametro di stabilità macroeconomica.

Un ulteriore problema è dato dal fatto che quando gli stessi cittadini di uno Stato devono prestare i soldi al proprio governo, essi si privano di risorse che avrebbero potuto essere allocate in investimenti privati. Se invece noi vogliamo che questi ultimi siano intensificati, dobbiamo allora evitare un elevato disavanzo.

Per produttività del lavoro la Russia oggi è in ritardo di tre-quattro volte rispetto alle economie sviluppate. Che cosa significa questo? Una bassa produttività a livello nazionale significa una bassa competitività a livello mondiale. Per la persona concreta, bassa produttività vuol dire soprattutto fare un «brutto lavoro», che non permette di percepire un buono stipendio. Ma il punto non è, come presumono alcuni esperti, che i nostri cittadini non sanno o non vogliono lavorare, né che si impegnano poco. Non è così. Il problema è che occupano posti di lavoro divenuti ormai arretrati.

La nuova generazione di cittadini russi, vale a dire quelli che hanno iniziato da poco a lavorare o quelli che stanno studiando, nutre enormi aspettative ed è estremamente esigente verso il proprio lavoro. II nostro Paese non si era mai trovato ad affrontare queste sfide in termini di istruzione e di cultura. Ma sono fermamente convinto che si tratti di sfide positive.

Naturalmente, la soluzione logica della bassa produttività del lavoro è la diffusione capillare di posti di lavoro ad alta produttività, e quindi ad alta retribuzione, per figure professionali istruite e ambiziose. Ciò può essere realizzato sia grazie all’apertura di nuove strutture produttive che al miglioramento di quelle già esistenti.

La nuova economia russa sarà un’economia diversificata, in cui oltre al comparto industriale dell’energia si svilupperanno altri settori competitivi. Entro il 2020 il contributo al PIL del settore hi-tech e di quello intellettuale deve crescere del 50% rispetto alla quota attuale, raddoppiando l’export russo di alte tecnologie.

Quella russa sarà un’economia efficiente, con un alto livello di produttività del lavoro e bassi consumi energetici. Dobbiamo decisamente colmare il divario con i Paesi leader. Ciò significa far crescere di due volte la produttività ed eguagliare o superare i nostri concorrenti in alcuni settori. In caso contrario non avremo semplicemente speranze di successo nella competizione globale.

Sarà un’economia di posti di lavoro altamente produttivi e altamente retribuiti. Lo stipendio medio crescerà di 1,6-1,7 volte, quasi fino a 40.000 rubli secondo il potere d’acquisto rispetto ai prezzi del 2011. In termini nominali l’incremento sarà ovviamente più alto.

Sarà un’economia di tecnologie in continuo aggiornamento. La quota di imprese che introducono tecnologie innovative deve crescere di due volte e mezzo entro la fine del decennio, dall’attuale 10,5 al 25%, raggiungendo così la media europea odierna.

Sarà un’economia in cui le piccole imprese copriranno non meno della metà dei posti di lavoro. Gran parte delle piccole imprese nel 2020 costituiranno il settore del lavoro creativo ed intellettuale, operante nel mercato globale dove saranno esportati i suoi prodotti e servizi.

Per ogni indicatore economico, per ogni progetto concreto dobbiamo capire quanti nuovi posti di lavoro nasceranno in Russia, in che modo cambierà la qualità del lavoro e dunque la qualità della vita delle persone.

Un’economia rinnovata deve offrire a ciascuno la prospettiva di realizzarsi: agli imprenditori, ai dipendenti del settore pubblico, agli ingegneri, agli operai specializzati. Proprio in questo risiede la dimensione sociale dell’economia, che mi propongo di discutere in un prossimo articolo.

Traduzione dal russo di Daria Kudenko(Associazione Conoscere Eurasia) e Dario Citati(Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie)


[i] OAK: acronimo russo di Ob’’edinënnaja Aviacionnaja Kompanija (spesso noto nella variante inglese UAC – United Aircraft Corporation), consorzio di aziende aeronautiche ed aerospaziali istituito dal governo nel 2006. OSK: acronimo russo di Ob’’edinënnaja Sudostroitel’naja Korporacija, società per azioni del settore dell’ingegneria navale istituita con decreto presidenziale nel 2007. [n.d.t.]