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La Russia che si prepara

LA RUSSIA CHE SI PREPARA,

OVVERO LE GRANDI SFIDE CHE CI ATTENDONO

Il seguente documento è la traduzione italiana dell’articolo di Vladimir Putin, apparso in lingua russa sul quotidiano “Izvestija” il 16 gennaio 2012.

Il 4 marzo 2012 i cittadini russi si recheranno alle urne per eleggere il Presidente del Paese. Nella società si ravvivano e si moltiplicano i dibattiti in merito.

Trovo necessario esprimere la mia posizione su alcune questioni che mi sembrano importanti per una discussione di merito ampia ed articolata. Vorrei parlare dei rischi e dei problemi che la Russia si troverà ad affrontare, del suo posto nella politica e nell’economia mondiali. Ci limiteremo a seguire il corso degli eventi oppure prenderemo parte noi stessi alla definizione delle regole del gioco? Quali risorse ci consentiranno di rafforzare le nostre posizioni e garantire quello sviluppo sostenibile che – ci tengo a sottolineare – è tutt’altra cosa rispetto alla stagnazione? Nel mondo contemporaneo la stabilità è una condizione che va conquistata con merito e che può essere conseguita soltanto attraverso un lavoro costante, manifestando apertura verso i cambiamenti e prontezza a varare riforme ponderate e ormai necessarie.

Il problema ricorrente nella storia della Russia è la tentazione di una parte della sua élite di innescare cambiamenti repentini, di preferire la rivoluzione allo sviluppo graduale e progressivo. Nondimeno, l’esperienza storica mondiale, non soltanto russa, ha dimostrato la pericolosità degli strappi improvvisi che abbattono l’esistente senza poi ricostruire.

A ciò si accompagna un’altra costante, un atteggiamento di segno opposto: la tendenza alla stagnazione e al clientelarismo, la mancanza di concorrenza delle élite, l’alto livello di corruzione. Ma i due estremi si tengono e si completano: alla prima occasione utile i «demolitori» diventano «signorotti autosoddisfatti», opponendosi ad ogni cambiamento e difendendo gelosamente il proprio status ed i propri privilegi. Oppure si verifica il processo uguale e contrario, con i «signorotti» che si fanno «demolitori» dell’ordine costituito.

Da qui deriva il «respiro corto» della nostra politica, spesso limitata alla conservazione dello status quo o al passaggio di consegne di poteri e proprietà.

Questa situazione è tradizionalmente dovuta al debole controllo pubblico sui politici, nonché all’arretratezza della società civile russa. La situazione sta gradualmente cambiando, seppur in modo ancora lento.

Non si dà democrazia autentica laddove la politica si insedia senza il consenso della maggioranza e non riflette i suoi interessi. Certo, per un breve lasso di tempo è possibile allettare le piazze con slogan altisonanti e immagini di un futuro radioso, ma quando tali promesse non vengono realizzate le persone finiscono per allontanarsi dalla politica e dai problemi sociali. Ciò si è verificato già molte volte nel corso della nostra storia.

Le discussioni attuali vertono soprattutto sulle forme di rinnovamento del processo politico. Ma quali sono le proposte concrete su cui accordarsi? Quella di riorganizzare il potere per conferirlo ai «migliori»? E una volta raggiunto quest’obiettivo, quali sarebbero le mosse da attuare?

Mi preoccupa il fatto che non si svolga praticamente nessuna discussione su ciò che occorra fare al di fuori delle elezioni, dopo la competizione elettorale. A mio parere, ciò non risponde agli interessi del Paese, alla qualità dello sviluppo della nostra società, al suo livello di istruzione e di responsabilità.

Credo che i cittadini russi debbano avere l’opportunità di discutere non solo i punti di forza e di debolezza degli uomini politici (il che di per sé non è certo un male), ma anche il contenuto proprio della politica: i programmi da realizzare, i compiti e le sfide da affrontare, i modi concreti per migliorare la nostra vita, per edificare un ordine sociale più equo, la direzione da prendere sul versante dello sviluppo socioeconomico.

È necessario un dibattito aperto sul futuro, sulle priorità, sulle scelte di lungo periodo, sullo sviluppo e sulle prospettive del Paese. Questo articolo vuole essere un invito a tale dialogo.

Dove ci troviamo e dove stiamo andando

La Russia, secondo gli indicatori fondamentali di sviluppo economico e sociale, è uscita dalla profonda decadenza causata dal fallimento del modello socialista e dal successivo crollo dell’Unione Sovietica. Nonostante la crisi degli anni 2008-2009, che per un biennio ha frenato il nostro sviluppo, abbiamo raggiunto e oltrepassato il tenore di vita persino degli anni più prosperi dell’Unione Sovietica. Per esempio, l’aspettativa di vita in Russia ha già superato quella sovietica degli anni 1990-1991.

L’economia è in via di sviluppo e ciò si riflette soprattutto sulle persone, sul loro lavoro, sui loro redditi e sulle loro opportunità. Rispetto agli anni Novanta il livello di povertà è diminuito di due volte e mezzo.

Sono quasi scomparse quelle «zone di povertà stagnante», che si creavano quando nelle grandi città anche persone capaci e attive non riuscivano a trovare lavoro o non ricevevano da mesi la retribuzione dovuta. Secondo ricerche indipendenti, i redditi reali di quattro quinti dei Russi hanno superato il livello del 1989, cioè il «picco» di sviluppo dell’Unione Sovietica, dopo il quale iniziarono gli squilibri e il crollo della struttura socioeconomica del Paese. Oltre l’80 per cento delle famiglie russe ha già un livello di consumo superiore al livello di consumo di quella che era una famiglia media sovietica. La disponibilità di elettrodomestici è cresciuta di una volta e mezzo e ha raggiunto il livello dei Paesi sviluppati. Una famiglia su due possiede un’auto, il che corrisponde ad un incremento di tre volte. Sono inoltre notevolmente migliorate le condizioni abitative;  non soltanto i cittadini che rientrano nella media delle statistiche, bensì anche i nostri pensionati consumano oggi più prodotti alimentari di base rispetto al 1990.

Ma la cosa più importante è la formazione, nella Russia degli ultimi dieci anni, di un significativo strato sociale che in Occidente è definito classe media. Si tratta di persone i cui redditi consentono una varietà di utilizzo sufficientemente ampia: spendere o risparmiare, scegliere cosa comprare o come passare le vacanze. Persone in grado di optare per un lavoro che piace e che godono di buoni risparmi. Infine, la classe media rappresenta quella fetta di popolazione in grado di selezionare effettivamente la politica, poiché il livello di istruzione permette loro di valutare criticamente i candidati senza limitarsi a «votare col cuore». In una parola, la classe media ha già cominciato ad esprimere le proprie esigenze in diversi campi.

Nel 1998, la classe media variava dal 5 al 10 per cento della popolazione, cioè era persino più esigua rispetto all’ultimo periodo di esistenza dell’Unione Sovietica. Secondo diverse stime, oggi alla classe media appartiene dal 20 al 30 per cento della popolazione: si tratta di persone i cui redditi sono di tre volte più grandi rispetto al salario medio del 1990.

La classe media dovrebbe continuare a crescere e divenire maggioranza sociale. In essa devono confluire le persone che davvero portano avanti il Paese: i medici, gli insegnanti, gli ingegneri, i lavoratori qualificati.

La grande speranza della Russia è l’alto livello di istruzione della popolazione, in particolar modo della nostra gioventù, malgrado tutti i problemi e le inefficienze del sistema di istruzione nazionale. Tra i nostri cittadini di età compresa tra i 25 e i 35 anni, il 57% ha ricevuto l’istruzione superiore. A parte la Russia, tale livello si registra solo in tre Paesi: Giappone, Corea del Sud e Canada.

La crescita del «fabbisogno di istruzione» continua ancora: oltre l’80 per cento di ragazzi e ragazze più giovani (15-25 anni) ricevono o cercano di ricevere l’istruzione superiore. Pertanto sii potrebbe anche parlare di istruzione superiore estesa a tutta la popolazione.

Stiamo entrando in una nuova realtà sociale. La «rivoluzione dell’istruzione» sta cambiando alla radice la società e l’economia russa. Anche se a questo punto la nostra economia non ha bisogno di così tanti lavoratori dotati di un’istruzione superiore, certo non è possibile tornare indietro. Non sono le persone a doversi adattare alla struttura esistente dell’economia e del mercato del lavoro, bensì è l’economia che deve concedere ai cittadini che hanno ricevuto l’istruzione superiore la possibilità di trovare un lavoro dignitoso.

La sfida principale per la Russia è proprio quella di imparare a sfruttare la «sete di istruzione» dei giovani, così come a mobilitare le accresciute esigenze della classe media e la sua maturità ad assumersi la responsabilità per il proprio tenore di vita, indirizzando tutto ciò a favore della crescita economica e dello sviluppo sostenibile del Paese.

Un alto livello di istruzione presso la popolazione significa una maggiore aspettativa di vita, un tasso più basso di criminalità e di antisocialità, scelte più razionali. Tutto ciò crea di per sé un’atmosfera favorevole per il nostro futuro. Però non possiamo limitarci solo a questo.

L’aumento del benessere materiale nell’ultimo decennio deriva in gran parte dalle azioni portate avanti dallo Stato, compreso quel ripristino dell’ordine che si è avuto nella redistribuzione di rendite derivanti dalle risorse naturali. Abbiamo usato i proventi del petrolio per accrescere i redditi della popolazione e per tirare milioni di persone fuori dalla povertà, nonché per accumulare un risparmio nazionale come assicurazione contro crisi e catastrofi. Oggi tuttavia il potenziale dell’economia fondata sulle materie prime si sta esaurendo e non dispone più di prospettive strategiche.

Già nei documenti programmatici del 2008, adottati poco prima della crisi, la diversificazione dell’economia e la creazione di nuove fonti di crescita furono indicati come compito prioritario.

Occorre dunque dar vita ad una nuova economia, rivolta a cittadini istruiti e responsabili in tutte le loro variegate forme: professionisti, imprenditori, consumatori.

Nei prossimi dieci anni nel circuito dell’economia entreranno a far parte circa 10-11 milioni di giovani, 8-9 dei quali godranno di un’istruzione superiore. Già adesso nel nostro mercato del lavoro oltre 5 milioni di persone con istruzione superiore sono insoddisfatte non solo della retribuzione che ricevono, ma anche della tipologia di lavoro che svolgono e dalla mancanza di prospettive. Altri 2-3 milioni sono specialisti impiegati nelle istituzioni pubbliche  che desiderano trovare un nuovo lavoro. Infine, altri 10 milioni di persone sono impiegate all’interno di strutture produttive in cui si usano tecnologie ormai arcaiche e arretrate che dovrebbero far parte solo del passato: non solo perché ormai stanno perdendo posizioni sul mercato, ma anche perché alcune di esse risultano pericolose per la salute dei lavoratori e per l’ambiente.

Questi 25 milioni di nuovi posti di lavoro – ben retribuiti e dotati di supporto tecnologico avanzato, da destinare a persone con un alto livello d’istruzione – non rappresentano delle belle parole, bensì un’impellente necessità per ottenere un livello minimo di benessere. Proprio alla risoluzione di questo problema, che coinvolge la Nazione intera, dovrebbero essere orientate la politica dello Stato e l’intensificazione degli sforzi del mondo imprenditoriale per la creazione di un clima economico maggiormente favorevole.

Sono convinto che il potenziale di risorse umane del nostro Paese nel presente e soprattutto nel futuro consenta di ambire a posizioni di rilievo nella competizione economica globale.

L’economia russa del futuro dovrebbe rispondere alle esigenze della società, garantendo  redditi da lavoro più alti, impieghi più creativi e soddisfacenti, creando opportunità di crescita professionale e di mobilità sociale.

Proprio questo aspetto – ben più delle cifre del PIL, del volume delle riserve auree e valutarie, del rating delle agenzie internazionali o del posto elevato della Russia nel ranking delle più grandi economie del mondo – sarà il più ostico negli anni a venire. Prima di ogni altra cosa, le persone hanno bisogno di percepire i cambiamenti positivi osservandoli nell’ampliamento delle proprie opportunità concrete.

E tuttavia il motore della crescita deve essere e sarà rappresentato dall’iniziativa dei cittadini stessi. Siamo destinati a una sconfitta in partenza se ci affidiamo soltanto alle decisioni dei funzionari e al numero limitato di investitori e imprese statali. Andremo cioè incontro alla sconfitta se ci scontreremo con la passività della popolazione.

La crescita della Russia nel prossimo decennio consiste dunque nell’ampliamento delle libertà per ciascuno di noi. Il benessere offerto su un piatto d’argento, senza alcuna responsabilità per le proprie decisioni, nel XXI secolo è semplicemente impossibile. Davanti a noi s’impone inoltre anche un’altra sfida. A fronte dei luoghi comuni sull’utilità della beneficenza, nel nostro Paese si percepisce la mancanza di fiducia tra le persone, il rifiuto di occuparsi della cosa pubblica, di occuparsi degli altri, l’incapacità di elevarsi al di sopra dei propri interessi personali: tutto ciò è sintomo d’una grave e cronica malattia di cui soffre la nostra società.

Nella cultura russa esiste una lunga tradizione storica di rispetto verso lo Stato, verso l’interesse generale e le esigenze del nostro Paese. La stragrande maggioranza dei Russi vogliono vedere il nostro Paese grande e forte, rispettano gli eroi nazionali che hanno sacrificato persino la vita al bene comune. Purtroppo, l’orgoglio od il senso di rivalsa per il Paese non trovano realizzazione nella vita quotidiana, cioè nella partecipazione al processo di governo, nella volontà di intervenire in difesa della legge o nella beneficenza.

Di norma ciò non deriva dall’indifferenza o dall’egoismo in quanto tali, bensì da un’insicurezza di fondo nelle proprie capacità o dalla sfiducia verso il prossimo. Negli ultimi anni la situazione ha iniziato a cambiare anche sotto questo profilo. Sempre più spesso i cittadini non si limitano ad avanzare fondate richieste al proprio governo, ma cominciano ad occuparsi in prima persona di attività forse un po’ prosaiche ma assolutamente necessarie: riassetto di cortili e spazi pubblici, cura dei disabili e assistenza ai bisognosi, organizzazione del tempo libero dei bambini e molto altro ancora.

Nel 2012 lo Stato inizierà a promuovere attivamente tali iniziative: a livello federale ed in molte regioni sono stati già adottati programmi di sostegno per le organizzazioni sociali senza scopo di lucro. Nel futuro incrementeremo ulteriormente le risorse destinate a tali programmi. Affinché essi funzionino veramente bene, è però necessario estirpare quel pregiudizio ancora vivo e forte nella burocrazia nei confronti delle associazioni sociali. Un pregiudizio che deriva dalla riluttanza a condividere le risorse, dal desiderio di evitare la concorrenza e magari persino dal timore delle richieste effettive per un dato incarico.

Nei servizi sociali un contributo di valore inestimabile è quello offerto dalle religioni tradizionali – ortodossia, islam, giudaismo e buddismo – che  aiutano a superare la discordia tra le persone, a creare un clima di fiducia e una volontà di risolvere pacificamente quei conflitti che sorgono inevitabilmente in una società che si sviluppa a ritmi rapidi. In questo ambito anche la scuola, i media, la televisione, la comunità di internet possono e debbono offrire un contributo importante.

Una società di persone libere non è affatto una massa di egoisti solitari, autoreferenziali e indifferenti al bene comune. Non siamo mai stati e mai saremo una massa di questo tipo. La libertà personale è produttiva solo se si comprendono le esigenze altrui e si pensa anche agli altri: senza fondamento morale, la libertà si trasforma in arbitrio.

La fiducia tra le persone si costituisce solo se la società è unita da valori comuni ed i suoi singoli componenti conservano la fede, l’onestà, il senso di giustizia. Il rispetto per la legge sorge allorquando essa è uguale per tutti, viene osservata da tutti ed ha il suo fondamento nella giustizia e nella verità.

Il ritratto sociale del nostro futuro sarebbe incompleto senza sollevare un’altra questione di vitale importanza. I redditi del 10-11 per cento dei nostri cittadini, per varie ragioni, sono ancora al di sotto della soglia di povertà. Alla fine di questo decennio siamo chiamati a risolvere tale problema, a superare quel livello di miseria che è assolutamente inaccettabile per un Paese sviluppato. A tal fine indirizzeremo sia le risorse dello Stato, sia gli sforzi della società, della sua parte più attiva e coinvolta. Dobbiamo rendere il sistema di assistenza sociale più equo e  sostenere la beneficenza.

In Russia il sistema di mobilità sociale abbisogna di essere riformato su larga scala e gli «ascensori sociali» di essere conformati al livello di una società moderna. Dobbiamo imparare a compensare le conseguenze socialmente negative dell’economia di mercato e le disuguaglianze che essa genera, così come hanno imparato a farlo i Paesi che vivono da più tempo in un sistema capitalistico. Si tratta in special modo di sostegni e sussidi per i figli di famiglie povere che devono studiare, oppure di alloggi sociali per famiglie con redditi molto bassi. È altrettanto importante eliminare qualsiasi discriminazione nei confronti degli invalidi, garantendo loro parità di accesso a tutti gli agi della vita e ad un buon lavoro. La nostra società otterrà successo solo quando i cittadini non metteranno in dubbio la giustizia su cui essa si fonda.

Una nuova fase dello sviluppo globale

La crisi globale del 2008 ha toccato tutti e ci ha costretto a rivalutare tante cose.
Non è più un segreto per nessuno che la tempesta economica è stata provocata non solo da fattori ciclici e da mancanza di regole. La radice del problema è negli squilibri che si sono accumulati. Il modello fondato sull’aumento illimitato di prestiti, sulla vita che si costruisce su debiti che dilapidano lo stesso futuro, su valori e attività virtuali e non reali, è finito in un vicolo cieco. Oltre a ciò, il benessere che tale modello ha generato è stato distribuito e si distribuisce tuttora tra Paesi e regioni in modo molto diseguale. Anche questo problema influisce sulla stabilità globale, provocando conflitti e riducendo la capacità della comunità internazionale di trovare un accordo su spinose questioni di principio.

Sono stati costruiti «castelli di carta» non solo sul terreno dell’economia, ma anche nella politica e nella sfera sociale. Anche in questi ambiti si sono fatti strada degli illusori «derivati». La crisi dei Paesi sviluppati ha palesato la tendenza pericolosa, a mio avviso squisitamente politica, verso un incontrollato e populistico aumento degli obblighi sociali dello Stato, senza alcuna correlazione con la produttività del lavoro, che ha determinato un’autentica irresponsabilità sociale nei diversi strati delle popolazioni di tali Paesi. È tuttavia divenuto ormai chiaro a molti che l’epoca degli Stati che garantiscano indiscriminato benessere a spese altrui è ormai finita.

Nessuno può vivere meglio se non lavorando: tale principio può benissimo applicarsi anche alla Russia.

Noi non ci siamo messi a giocare col fuoco, perché la nostra politica economica è stata ponderata e prudente. Prima della crisi abbiamo notevolmente aumentato il volume dell’economia, liberandola dalla dipendenza dai debiti, abbiamo innalzato i redditi reali dei cittadini e creato riserve finanziarie che ci hanno consentito di affrontare la crisi limitando al minimo gli effetti negativi sul tenore di vita della popolazione. Inoltre, proprio nel pieno della crisi siamo stati in grado di aumentare pensioni ed altre spese sociali, malgrado fossero in molti, soprattutto nelle file dell’opposizione, a spronarci per spendere i proventi del petrolio al più presto possibile. Cosa ne sarebbe stato di quelle pensioni se avessimo seguito tali suggerimenti populisti?

Purtroppo non è mancata una forte retorica populistica durante la recente campagna per le elezioni parlamentari. Probabilmente la ritroveremo anche durante la campagna per le presidenziali, soprattutto da parte di coloro che non puntano realmente a vincere e perciò hanno il coraggio di fare promesse che non dovranno poi mantenere. Voglio affermare in tutta franchezza che è nostro dovere seguitare a sfruttare tutte le opportunità per migliorare la vita dei nostri cittadini; al contempo, come prima, non possiamo «andare alla ventura» perché non vorremmo mai, come accaduto in alcuni Paesi d’Occidente, essere costretti un domani a privare le persone di ciò che abbiamo concesso con troppa leggerezza e persino di qualcosa in più.

Occorre riconoscere che gli squilibri globali sono di proporzioni talmente grandi da non poter essere risolti o appianati nell’ambito del sistema vigente. Si possono certamente attutire gli sbalzi congiunturali: nella maggior parte dei Paesi vengono elaborati pacchetti di provvedimenti per reagire in misura più o meno efficiente alle più acute manifestazioni della crisi.

Ragionando sul lungo periodo, con maggiore profondità, si può tuttavia convenire che i problemi attuali non hanno un carattere congiunturale. Nei suoi lineamenti generali ciò che il mondo si trova oggi ad affrontare è una grave crisi sistemica, un autentico terremoto gravido di trasformazioni globali. È una manifestazione visibile del passaggio verso una nuova èra culturale, economica, tecnologica, geopolitica. Il mondo sta entrando in una zona di turbolenza, un periodo che sarà certamente lungo e doloroso. Su questo è bene non farsi illusioni.

È altrettanto evidente che il sistema «unipolare», formatosi oltre venti anni fa dopo il crollo dell’Unione Sovietica, è anch’esso giunto alla sua fine. Quello che in precedenza era l’unico «polo di forza» non è più in grado oggi di mantenere la stabilità globale, sebbene i nuovi centri di influenza non siano ancora pronti a farlo. L’accresciuta imprevedibilità dei processi economici e della situazione politico-militare del mondo richiede una cooperazione responsabile e fiduciosa tra tutti i Stati, in special modo tra i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, del G-8 e G-20. Occorrono dunque sforzi costanti per superare i sospetti reciproci,  le pregiudiziali ideologiche e l’egoismo miope.

In luogo di fungere da catalizzatori dello sviluppo e conferire stabilità al sistema economico globale, i maggiori centri economici mondiali generano problemi e rischi in misura sempre crescente. Aumentano con forza anche le tensioni sociali ed etno-culturali. In alcune regioni del pianeta si fanno strada forze distruttive ed aggressive, che rappresentano in ultima analisi una minaccia alla sicurezza di tutti i popoli della Terra. I loro alleati sono spesso proprio quegli Stati che si sforzano di «esportare la democrazia» manu militari.

Neppure le migliori intenzioni possono giustificare la violazione del diritto internazionale e della sovranità degli Stati. A ciò si aggiunga, come dimostra l’esperienza sul campo, che gli obiettivi originari di norma non vengono raggiunti ed i costi risultano invece incomparabilmente superiori alle aspettative.

In queste condizioni, la Russia può e deve degnamente svolgere il suo ruolo, dettato dal suo modello di civiltà, dalla sua grande storia, dalla geografia e dal suo «genoma culturale» che congiunge organicamente i fondamenti della civiltà europea con l’esperienza secolare di cooperazione con l’Oriente, dove oggi si sviluppano nuovi centri di potere economico e di influenza politica.

In quali condizioni si presenta la Russia all’appuntamento con una nuova èra di trasformazioni globali?

Negli anni Novanta il Paese ha subito un vero e proprio choc di decadenza e dissoluzione, enormi costi e perdite sociali. In quel contesto il totale indebolimento dello Stato era un processo semplicemente irreversibile. Allora fummo davvero prossimi al punto più critico. Il fatto stesso che qualche migliaio di criminali – facendosi forti del sostegno di alcune forze esterne – ebbero il coraggio di attaccare lo Stato, che disponeva di un esercito con più di un milione di uomini, testimonia del carattere assolutamente tragico della situazione di allora. A troppi sembrava che stessimo davvero per crollare.

Ricordo bene il messaggio intercettato dalla FSB di Chattab, uno dei più odiosi e sanguinari terroristi internazionali, colpevole di massacri contro la nostra popolazione nel Caucaso del Nord. Costui scrisse ai suoi complici all’estero: «La Russia è debole come non mai. Oggi abbiamo un’occasione unica: strapparle definitivamente il Caucaso del Nord». Ma i terroristi facevano male i loro calcoli: l’esercito russo, con il sostegno del popolo ceceno e degli altri popoli del Caucaso, difese la nostra integrità territoriale e l’unità dello Stato russo.

Ci sono voluti sforzi enormi e la mobilitazione di tutte le risorse possibili per uscire da quel pantano, per ricostruire il Paese e restituire alla Russia lo status di soggetto geopolitico, per ristabilire un sistema sociale, risollevare un’economia in pezzi e ripristinare l’autorità del governo.

Ci toccava anche recuperare il prestigio e la forza dello Stato in quanto tale. E abbiamo dovuto farlo pur essendo privi di tradizioni democratiche ben radicate, senza partiti politici di massa e senza una società civile matura. Al contempo ci scontravamo con il separatismo regionale, il dominio dell’oligarchia, la corruzione, e talvolta anche con la presenza  di autentici criminali negli organi di governo.

In circostanze di questo tipo il primo compito da assolvere era ripristinare la reale unità del Paese, ossia ristabilire su tutto il territorio la sovranità del popolo russo e scalzare il dominio di singoli individui o di gruppi organizzati.

Adesso sono in pochi a ricordare quanto sia stato difficile questo compito, quali enormi sforzi siano stati necessari per risolverlo. Sono in pochi a ricordare che i più autorevoli esperti e numerosi leader internazionali alla fine degli anni Novanta avevano una comune previsione per il futuro della Russia: bancarotta e disgregazione. L’attuale situazione della Russia, se la si guarda con gli occhi degli anni Novanta, sarebbe sembrata loro una fantasia a dir poco ottimistica.

Ma paradossalmente proprio questa «dimenticanza» e la ferma volontà della società di pretendere per la Russia i più alti standard di qualità della vita e di democrazia costituiscono la migliore prova del nostro successo. Negli ultimi anni noi tutti insieme, il popolo russo, siamo riusciti ad affrontare i problemi più urgenti. Solo grazie ai nostri sforzi il Paese ha resistito agli scossoni della crisi globale e oggi ci è possibile parlare di prospettive e strategie per il futuro.

Il periodo di recupero è ormai alle spalle. Si è definitivamente conclusa la fase post-sovietica di sviluppo della Russia, così come del resto del mondo. Pur in quadro di politica estera e di economia mondiale molto precario, sono state create tutte le condizioni per andare avanti su nuove basi e a livelli qualitativi diversi. Al contempo, l’irreversibile trasformazione globale in atto rappresenta per noi un ventaglio di possibilità enormi.

Vorrei spiegare ancora una volta perché ho deciso di ricandidarmi alla carica di Presidente della Russia nelle elezioni 2012. Non è mia intenzione sminuire il contributo che altri hanno potuto offrire alla creazione di un Paese nuovo. Non erano in pochi. Ma resta il fatto che nel 1999, quando sono divenuto Primo Ministro e poi Presidente, lo Stato sprofondava in una grave crisi sistemica. Ed è stata proprio la classe dirigente formata e guidata dall’autore di queste righe –  con il sostegno dell’assoluta maggioranza dei cittadini ed il supporto della nazione intera, unitasi per raggiungere obiettivi comuni – che ha tirato fuori la Russia dal vicolo cieco della guerra civile, che ha spezzato la spina dorsale del terrorismo, ripristinato l’integrità territoriale del Paese e restaurato l’ordine costituzionale, riassestando l’economia e assicurando uno dei più alti livelli di crescita economica e di aumento dei redditi reali della nostra gente negli ultimi dieci anni.

Oggi possiamo constatare cosa è stato realizzato con successo ed ha funzionato in modo efficace e, specularmente, cosa è invece ancora da correggere e quali scelte vadano riviste.

Il compito che abbiamo davanti negli anni a venire consiste a mio avviso nel rimuovere dalla strada dello sviluppo nazionale gli ostacoli che impediscono un progresso ulteriore. È cioè necessario completare la realizzazione di un buon sistema politico, di una struttura di garanzie sociali e di tutele per i cittadini, di un modello forte di economia, affinché tutti questi elementi insieme diano forza ad uno Stato unito, vivo, in continua evoluzione e al tempo stesso stabile e in buona salute. Uno Stato che sarà in grado di assicurare la sovranità della Russia e la prosperità dei suoi cittadini nei decenni a venire, di sostenere la giustizia e la dignità di ogni persona, di garantire verità e fiducia nelle relazioni tra lo Stato e la società.

Sussistono certo tanti problemi ancora irrisolti e sorgono nuove e complesse questioni, che tuttavia siamo in grado di volgere a nostro vantaggio, per il bene della Russia.

La Russia non è un Paese che si tira indietro di fronte alle difficoltà. La Russia si sta preparando, sta raccogliendo le sue forze per rispondere con dignità ad ogni sfida, per superare le prove che l’aspettano ed uscirne vittoriosa. È cresciuta una nuova generazione di persone creative e responsabili che vedono davanti a sé il proprio futuro. Persone che sono già presenti ma che, naturalmente, continueranno ad aumentare alla guida di aziende e di interi settori, a capo delle istituzioni pubbliche in tutto il Paese.

Soltanto da noi dipende il modo attraverso cui sapremo rispondere alle sfide odierne e sfruttare le possibilità di rafforzare le nostre posizioni in un mondo che cambia rapidamente.

Nelle prossime settimane ho intenzione di sottoporre a discussione pubblica i propositi più concreti su questo tema.

Traduzione dal russo di Daria Kudenko(Associazione Conoscere Eurasia) e Dario Citati(Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie)